Il marchio, fin dall’esame di diritto commerciale all’università, è sempre stato associato, come definizione, al “segno distintivo dell’impresa” tale da avere connotazioni di riconoscibilità immediata almeno nelle aziende che producono beni o servizi di largo consumo.
L’evoluzione delle attività economiche in questi ultimi decenni ha considerato il marchio, non solo come valore statico da iscrivere in bilancio tra le immobilizzazioni immateriali, ma come valore dinamico che riesce ad influenzare le politiche di commercializzazione, lo sfruttamento economico dei diritti in caso di cessione parziale o di affitto del ramo di azienda, le scelte di internazionalizzazione e penetrazione nei mercati esteri.
La prima forma di tutela del valore del marchio è la sua protezione, attraverso la registrazione per acquisire la certezza della proprietà a livello internazionale.
La misura agevolativa in allegato non è una forma di “aiutino” alle aziende per erogare un contributo a fondo perduto, ma ha l’obiettivo ben più ampio di allargare le visioni strategiche delle aziende, che troppo spesso hanno una qualità elevata del prodotto ma non la consapevolezza della forza di mercato che potrebbero acquisire, attraverso un’operazione di valorizzazione, non di un semplice “logo”, ma dell’unicità di prodotto che per caratteristiche, processi e metodi può differenziarsi ed emergere dagli anonimi contesti delle produzioni “seriali”.
Non è un caso che anche in ambito fiscale il nostro paese ha cercato di arginare, attraverso la misura del “patent box”, la fuga dei marchi all’estero che consentivano alle Holding una tassazione privilegiata sui diritti di sfruttamento a carico delle partecipate operative in Italia.
Gli imprenditori più lungimiranti continuano ad operare valorizzando il “Made in Italy” il “vero marchio” dei prodotti di eccellenza che rappresentano il nostro orgoglio nel mondo.