“Il peso della cultura!” diceva scherzando mio padre quando uscivo di casa con lo zaino pieno di libri fino a scoppiare. Arrancando curvi raggiungevamo la scuola con i mezzi pubblici (già all’epoca mai puntuali), e i nostri libri erano comunque emblema delle fatiche dello studio tra sottolineature di colori diversi, post-it appiccicati e disegnini a matita quando distrattamente sentivamo il prof mentre pensavamo ad altro.
Finita l’età scolastica, il libro diventava un compagno del nostro tempo, la sera prima di dormire, durante il tragitto in bus per andare a lavoro, durante le vacanze o in tutte le altre circostanze in cui avevamo la voglia di divorare pagine per immergerci nella “realtà immaginata”.
Negli ultimi anni la lettura si è adeguata alle nuove forme di comunicazione quindi si sta riducendo il tempo da dedicare perfino all’approfondimento di un articolo di giornale (ci limitiamo a dare un rapido colpo d’occhio ai titoli), figuriamoci ad una lettura di un libro che può durare qualche ora.
In questa fase di transizione, verso moderne forme di diffusione della conoscenza, la speranza è che non finisca la “fame del sapere” che ha permesso la nostra crescita umana, educativa, sociale ed economica.
Il rispetto e la riverenza verso il più classico degli strumenti di diffusione culturale è lo spunto della allegata misura di incentivazione dedicata alle librerie (che resistono ormai eroicamente al tempo) che potranno usufruire del credito di imposta tale da permettere un respiro che non sia solo quello dell’odore romantico delle stampe appena uscite.
Chissà per quanto tempo ancora potrò utilizzare la frase di Italo Calvino quando scriveva che “ogni nuovo libro che leggo entra a far parte di quel libro complessivo e unitario che è la somma delle mie letture”.
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